La storia


Il ritrovamento di alcune anfore funerarie romane e di parecchie monete di rame risalenti all’incirca all’anno 150 d.C., nonché di mattoni e di anfore del periodo di Cesare Augusto, sembra avvalorare la tesi secondo cui il territorio santenese era abitato già dai primi secoli dopo Cristo, quando il Piemonte era una provincia romana.
La zona inferiore dei rio Santena era popolata da gente detta "Agamina" dal nome del castello del Gamenario (Gamenarium o Agaminum) attorno al quale aveva fondato il proprio villaggio. Furono gli Agamini che costruirono sulle sponde del torrente Banna, detto allora Santena o Santina, un castello a cui diedero lo stesso nome del fiume; qui sorse e si sviluppò il villaggio santenese, che sotto l'impero Romano fu un importante nodo stradale, trovandosi proprio sulla via per le Gallie. Questa posizione avvantaggiò notevolmente gli Agamini, che furono tra i primi a ricevere il messaggio cristiano. Sembra infatti che nel Gamenario sia esistita un'antica chiesa edificata in onore di San Paolo, forse dipendente dalla Pieve di Testona, un importante municipio romano distante circa 3 miglia da Santena.

 

Sebbene la città fosse sotto la Signoria del Vescovo, verso il 1000 d.C. il dominio diretto di Santena passò ai Canonici della cattedrale di Torino, detti di San Salvatore.
In quegli anni alcune città miravano a rendersi indipendenti dall'impero e dai feudatari per reggersi da sole, con capi eletti dal popolo e per mezzo di statuti particolari assumendo il nome di Comuni. La città comunale era un piccolo stato indipendente, con un proprio esercito, una propria amministrazione della giustizia e proprie leggi. All'interno gli abitanti si associavano in corporazioni di mestieri che, divenute ricche, si dedicavano all'attività politica.
Tra questi Comuni, nel territorio limitrofo di Santena, emergeva Chieri. Abitata dai Galli fin dal VII secolo, nel 220 a.C. fu soggiogata dai romani. Sotto l'impero di Carlo Magno fu compresa nella Contea di Torino, facente capo a sua volta del Marchesato di Susa. Dietro l'esempio di Asti a poco a poco Chieri si svincolò dal Vescovo dichiarandosi indipendente nel 1212. La sua distruzione ad opera di Federico Barbarossa non spense gli animi degli abitanti che, con grande coraggio, la ricostruirono e le diedero ancor più grandezza e potere.
Chieri ambiva a dominare soprattutto su Santena, terra fertile e redditizia. Appena riuscì nel suo intento, essendo Santena priva di un esercito, iniziò ad imporre gravose tasse agli abitanti, che ricorsero, per essere liberati, ai canonici ed al Vescovo di Torino.
Era allora Vescovo Milone di Cardano, che cercò di aiutare i santenesi distruggendo col suo esercito le fortificazioni edificate sul territorio dai Chieresi. Egli il 18 febbraio 1184 rimise il piccolo presidio nei pieni poteri dei canonici di Torino. Chieri non cedette le armi e in nome di un'antica consuetudine che le dava diritto di esigere taglie e corvée da Santena ricominciò ad avanzare pretese di dominio.
Poiché il più strenue difensore dei diritti dei Santenesi, Milone, era stato nominato Arcivescovo di Milano, l'8 marzo 1191 i Canonici vendettero la cittadina a Chieri. Tra i cinque condomini che ottennero l'usufrutto della terra vi era Guglielmo Benso, avo di Camilio, possessore a Chieri di case e mulini.
La situazione di Santena sotto il dominio di Chieri fu precaria. Gli abitanti dovettero subire angherie di ogni tipo, tributi esosi ed ingiustificati, guerre che richiesero sacrifici umani ed economici.

 

Nel 1300 il territorio italiano fu sconvolto dalla lotta interna fra Guelfi e Ghibellini; a Chieri il contrasto si acuì a tal punto da coinvolgere personaggi estranei all'ambito comunale, che entrarono nel vivo della lotta con una serie di alleanze e protezioni. I Ghibellini chiesero l’aiuto del Marchese Giovanni II di Monferrato, mentre la parte Guelfa, che a Chieri aveva maggior potere, si mise sotto la protezione di Roberto d'Angiò, re di Napoli. Nel 1343 scoppiò la guerra tra le due fazioni; nel 1345 presso il castello del Gamenario ci fu un'aspra battaglia in cui perirono circa 30.000 soldati di ambo le parti. I Ghibellini ebbero la meglio, ma se la perdita ebbe fatali conseguenze per la dominazione angioina, la parte guelfa sopravvisse e cercò l'alleanza dei Principe Amedeo di Savoia, che sconfisse definitivamente il Marchese del Monferrato ed il suo alleato Luchino Visconti. Il 19 maggio 1937 i Chieresi, in cambio di privilegi personali, concedettero la signoria delle proprie terre al Conte Amedeo VI di Savoia e a Giacomo, Principe d'Acaia, i quali non vedevano di buon occhio i Santenesi. Sotto il nuovo governo le condizioni degli abitanti di Santena peggiorarono. Per liberarsi dai soprusi i condomini della città ricorsero al loro naturale signore, il Vescovo di Torino, a cui riaffermarono dipendenza feudale. I Chieresi non si arresero e si appellarono al Papa Urbano V, e mentre la controversia era in corso richiesero un contributo annuo di 1000 fiorini. Per anni continuarono ad imporre tasse e gabelle: tra queste c'era il fuocatico, un'odiosa tassa pagata più volte l'anno, secondo le esigenze e i bisogni dei Signori, da ogni fuoco su cui si appendeva la catena che reggeva la pentola. Per definire la questione il Conte Amedeo di Savoia delegò Francesco di Longacomba, il quale pronunciò sentenza favorevole ai Santenesi. La decisione provocò nuovi malcontenti e la lotta fra le due città continuò fino al 30 settembre 1369, quando si giunse ad un compromesso in base al quale si sarebbero eletti quattro deputati, due per Chieri e due per Santena, che avrebbero avuto il compito di ordinare il registro degli abitanti e dei loro beni per una più equa distribuzione delle tasse. Il compromesso non pose però fine alle discordie: restano molte testimonianze di liti tra gli abitanti delle due cittadine, risolte talvolta in tribunale, ma molto più spesso con la forza fisica.
Nel 1396 scoppiò una guerra fra Teodoro il Marchese di Monferrato ed il Principe d'Acaia ed il territorio di Chieri fu costretto per molti anni a parteciparvi fornendo denaro e uomini. A questo danno si aggiunse quello provocato dagli Armagnacchi francesi guidati da Janon Franzoso, scesi in Piemonte in aiuto al conte di Savoia, che saccheggiarono ed occuparono Santena. Gli Armagnacchi spadroneggiarono sul territorio per dieci mesi, fino a quando furono scacciati dalle truppe di Bonifacio di Challant e la custodia della città venne affidata a Chieri.

 

Nel 1400 Santena vide aumentare la propria popolazione e la propria ricchezza; fu costruito il mulino di Galeto, o Gallè, e vennero definiti i confini tra la città e Villastellone. Ma con l'inizio del '500 in tutto il Piemonte si diffusero pestilenze ed inondazioni, con la conseguenza di una terribile carestia che sconvolse soprattutto i ceti popolari; a ciò si aggiunsero i passaggi delle truppe francesi e di quelle tedesche, che devastarono la regione per 20 anni, e quindi di quelle spagnole.
Santena poté avere un po' di pace soltanto dopo che si stipulò la pace con la Francia e la Spagna (1559) ed i territori piemontesi furono riconsegnati al Duca Emanuele Filiberto, che confermò a Chieri i privilegi e le immunità contenute nei patti del 1347. Ad Emanuele Filiberto successe il figlio Carlo Emanuele I, principe vanaglorioso e superbo, che per ampliare il suo ducato progettò di occupare il Monferrato. La sua ambizione fu la causa di un'altra rovinosa guerra in Piemonte, che terminò solamente alla sua morte.
Dal 1630 iniziò a diffondersi in Italia un altro terribile male, la peste. Forse furono tre frati Cappuccini Chieresi a diffonderla a Santena. Certo è che un piccolo lazzaretto fu costruito sulle rive del Banna e quando, nella primavera dei 1632, il flagello si arrestò, un censimento dimostrò che un terzo della popolazione santenese ne era stata vittima.
Nel 1637, alla morte di Amedeo I, la reggenza dello Stato Piemontese fu assunta dalla moglie, la duchessa Maria Cristina, sorella del re di Francia Luigi XIII; i due fratelli, del defunto duca, che aspiravano al trono, l'accusarono di voler sacrificare l'indipendenza del paese alla Francia e, favoriti dal clima antifrancese che si stava sviluppando nel Piemonte, si allearono con gli Spagnoli: ne derivò una guerra civile.
Il Conte d'Harcourt Enrico di Lorena, comandante delle truppe franco-piemontesi, fu incaricato di marciare su Chieri dove si scontrò col condottiero delle milizie spagnole il 19 novembre 1639. Una memorabile battaglia combattuta sul ponte presso il Castello della Rotta di Santena decretò la vittoria dei Francesi. Si dovettero però attendere altri venti anni prima che il trattato dei Pirenei mettesse fine alla guerra costata numerose vittime.

 

In pratica i Santenesi vivevano liberi e indipendenti da Chieri dal 1400. Essi avevano particolari statuti ed erano governati da signori propri. Questa indipendenza non poteva piacere a Chieri che cercò di limitare la giurisdizione dei feudatari santenesi richiamandosi ad antichi diritti e consuetudini. La causa fra i due contendenti si protrasse per lungo tempo e nel 1728, quando Chieri vinse legalmente la battaglia, Santena si ritrovò rinchiusa in territorio altrui, con la prospettiva dì diventare un borgo di Chieri. Lo spazio occupato dalla città non superava le 50 giornate piemontesi. Era diviso dal territorio chierese a sud dal Banna, a nord-est da un fosso detto Santena Vecchia e ad ovest da un altro fosso che con il primo formava il rio Santenassa. La città presentava ancora la struttura del borgo medioevale; su un leggero rialzo sorgeva il castello con la Chiesa annessa e ai piedi di esso c'era il villaggio, abitato da vassalli dediti all'agricoltura. Al di fuori dei recinto si ergeva il castello chiamato il Santenotto, che aveva subìto restauri fin dal 1699 ad opera del Marchese di Tana. La bellezza e la sontuosità del castello indusse gli altri Signori santenesi a migliorare le loro proprietà o ad erigerle ex novo. Tra questi i Benso che demolirono il proprio castello e lo ricostruirono su un progetto di stile moderno.
Intanto il Piemonte attraversava un altro periodo di sciagure. Nel 1731 si diffuse una malattia contagiosa a causa della quale molti morirono; poi sopravvenne una guerra contro l'Austria che durò tre anni, e contemporaneamente, dal luglio 1733, iniziò una siccità che devastò i campi e distrusse l'intero raccolto.
Eppure, nonostante queste afflizioni, Santena continuava a crescere e a migliorare le proprie condizioni di vita. Nel 1710 fu aperta la prima scuola, fondata dalla compagnia di Santa Croce. Poiché l'istituto non era pubblico per provvedere all'istruzione dei poveri Tommaso Bombaro lasciò con il suo testamento la cifra di Lire 100 annue con cui finanziare una scuola popolare. Un altro importante passo fu compiuto nel 1770, quando con opere idrauliche si ripararono dalle inondazioni del Banna circa 6000 giornate di terreno fertile. Sullo stesso fiume venne inoltre costruito un ponte in muratura in sostituzione di quello vecchio di legno, pericoloso e ormai irreparabile.

 

Ma un'altra grave guerra si addensava all'orizzonte. Nonostante gli sforzi che il re Carlo Emanuele IV faceva per mantenere la pace, i Francesi decisero di occupare i suoi stati per porre fine alla monarchia piemontese. L'8 dicembre 1798 l'esercito napoleonico entrò a Chieri. Incoraggiata dalle promesse di libertà e di indipendenza che Napoleone faceva alle città occupate, Santena, come gli altri comuni piemontesi, eresse il suo "albero della libertà".
L'impeto repubblicano si smorzò quando, dopo la vittoria di Marengo, Napoleone divise il Piemonte in sette dipartimenti e lo aggregò alla Francia. Santena fece parte del dipartimento del Po e perse ogni autonomia locale.
L'occupazione francese portò alcuni vantaggi al Piemonte. Venne migliorata l'istruzione con la fondazione della scuola elementare obbligatoria, fu favorita l'agricoltura con una serie di miglioramenti del sistema d'irrigazione e soprattutto grazie al monopolio della vendita della canapa che rendeva l'impero napoleonico privilegiato rispetto al resto della penisola italiana; inoltre fu incoraggiata l'industria nascente, in particolar modo quella tessile. La religione subì invece i danni della dominazione: furono soppressi gli Ordini, chiusi i conventi, nazionalizzati ed in seguito venduti i beni ecclesiastici.
Dopo la sconfitta di Waterloo il Congresso di Vienna decretò il ritorno dei legittimi sovrani sui troni che occupavano prima dell'avventura napoleonica. In Piemonte nel 1814 con grande gioia della popolazione fece il suo ingresso Vittorio Emanuele I. I Santenesi pensarono fosse giunto il momento di sottrarre il proprio paese alla dipendenza di Chieri e di erigerlo a Comune autonomo, ma la richiesta venne rifiutata.

 

Gli anni delle Guerre d'indipendenza videro Santena combattere per l'unità italiana, ma anche per la conquista di ciò che era ormai diventato un imperativo categorico per tutti i suoi abitanti: l'autonomia da Chieri.
Nel 1858 fallì il secondo tentativo, sebbene i santenesi fossero appoggiati dal conte Camillo Benso, ministro dell'agricoltura e delle finanze, nonché personaggio di primo piano nel panorama politico di quegli anni. Nel 1877 fu presentata alla Camera una petizione con la quale, dopo aver esposto le circostanze in cui versava la Borgata di Santena e le gravi ragioni per cui essa aveva la necessità di erigersi a comune autonomo, si richiedeva una legge in base alla quale le frazioni con popolazione inferiore a 4000 abitanti (Santena ne aveva allora 3000) potessero aspirare alla costituzione in Comune. Dalla loro parte i Santenesi avevano il Marchese Carlo Compans di Brichanteau, che seppe opporre valide ragioni con prove convincenti e contribuì a persuadere la Commissione Parlamentare che l'8 luglio 1878 discusse ed approvò la richiesta.
Santena, da secoli soggetta al dominio altrui, occupata dai Conti di Torino, donata ai canonici di San Salvatore e quindi venduta ai Signori feudali, fu finalmente libera di amministrarsi e di decidere delle proprie sorti.

I primi, anni dei XX secolo videro il sorgere di gravi problemi economici che ebbero come conseguenza l'emigrazione di molti italiani verso l'America, poiché le loro piccole proprietà non erano più sufficienti al mantenimento. I Santenesi si rivolsero soprattutto all'Argentina, dove per molti anni lavoravano come mezzadri per racimolare il denaro necessario per ritornare in patria ed acquistare un piccolo podere. I grandi latifondi stavano infatti scomparendo; con la soppressione della consuetudine dei maggiorascato ormai tutti i figli avevano diritto ad una parte di eredità, e ciò contribuiva a spezzettare la proprietà. Essendo inoltre ormai permesso vendere la terra quando diventava impossibile sostenere la spesa dei suo mantenimento, molti piccoli appezzamenti erano acquistati da chi aveva una piccola cifra a disposizione.

 

La Prima Guerra Mondiale vide la partenza di molti giovani santenesi per il Carso. La campagna restò affidata alle donne e ai bambini, che cercarono di mantenerla in vita con molti sacrifici. Dalla guerra 64 soldati non fecero ritorno.
Al termine della guerra la povertà dilagante stimolò una seconda ondata di emigrazione, molto più forte della precedente; diventava sempre più difficile arricchirsi perché anche l'America cominciava ad avvertire i segni di una grave crisi economica, e questa volta pochi tornarono in patria.
Coloro che invece restarono a Santena ebbero problemi altrettanto gravi; nel 1918 la città fu colpita da una grave epidemia di spagnola, che decimò la popolazione. L'Italia entrava intanto nel periodo di dittatura fascista, ed anche a Santena il regime impose il suo marchio. Il podestà Rey cercò di amministrare il comune come meglio poteva; organizzò manifestazioni con carri allegorici, saggi ginnici al sabato pomeriggio con i giovani fascisti all'opera di fronte alla popolazione, feste degli alberi che cercavano di sensibilizzare la gente al problema della conservazione dell'ambiente.
Anche se la maggior parte dei Santenesi non era favorevole al duce e al suo potere, l'antifascismo non era molto evidente. La popolazione in quel tempo era dedita soprattutto all'agricoltura, solo qualche piccola industria di tipo familiare cominciava a crescere. L'istruzione era soltanto al livello inferiore e troppo farcita di retorica e populismo per riuscire a creare una valida corrente di idee oppositrici.

 

Le ferite della prima guerra mondiale non erano ancora dei tutto rimarginate quando Mussolini trascinò il popolo italiano in una nuova guerra. I Santenesi partirono per parecchi fronti: Francia, Africa, Russia, Jugoslavia, Grecia. Morirono 15 soldati.
Nel 1939 Mussolini venne in visita al Parco Cavour di Santena.
Con l'arresto del duce, nel 1943, sembrò fosse finalmente giunta la fine della guerra e pertanto delle sventure dell'Italia. Ma l'illusione svanì quando il Paese si trovò contemporaneamente occupato dai tedeschi e dagli americani ed iniziò una lunga guerra civile.
Dall'autunno 1944 alla primavera 1945 Santena fu sede di un comando tedesco, che occupò il Castello Cavour ed i principali edifici dei suoi dintorni.
La Resistenza coinvolse indirettamente e direttamente tutti i Santenesi. Due partigiani furono uccisi perché lottavano per un'Italia migliore. Uno di questi si chiamava Giuseppe Musso. Nato nel 1922, era entrato nelle Armi come carabiniere e mandato in Russia. Tornato in patria, dopo lo sfascio delle truppe conseguente all'8 settembre fece parte della Resistenza come appartenente al gruppo del Capitano Negro, che operava nella zona di Moncucco. Catturati alcuni tedeschi ed entrato con loro nella cittadina, la trovò circondata dalle truppe tedesche che lo catturarono e lo torturarono per due giorni. La sua salma venne poi scambiata con ufficiali tedeschi prigionieri. L'altro partigiano santenese, Giovanni Tosco, venne catturato a Riva presso Chieri ed immediatamente fucilato.
Arrivò finalmente il giorno della Liberazione. Il 25 aprile fu salutato da Santena con balli e feste che si protrassero per molti giorni.
La ripresa economica fu lunga e difficile; l'Italia, già in crisi, dovette riparare le perdite causate dal conflitto ed intraprese una industrializzazione irrazionale e pericolosa.


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