Il castello Cavour


Il castello di Cavour in Santena, costruito tra il 1712 e il 1720, è opera dell'architetto piemontese Francesco Gallo, successivamente rimaneggiato nella seconda metà del XIX secolo. La pianta settecentesca prevedeva un basamento a scarpa, la cantina, un piano nobile con mezzanino occupato al centro dal salone, un secondo piano con lungo balcone e, sulle ali laterali, un terzo piano. La riplasmazione ottocentesca ha comportato il sopralzo del corpo centrale e l'esecuzione, in facciata, di una decorazione a rilievo naturalistica di stampo manierista. La fronte principale del palazzo verso il parco all'inglese disegnato dal Kurten, conserva il settecentesco scalone aulico formato da due rampe parallele alla fronte che danno accesso al piano nobile.
Sono del 1720 la porta principale dell'edificio e la ricostruzione, o più probabilmente la sistemazione, della galleria ad un piano addossata al lato nord-est, mentre lo stesso Benso afferma che nel 1721 l'edificio era quasi al termine. Le ultime spese di qualche rilievo sono infatti registrate nel 1722. Il progetto venne eseguito con assoluto rispetto del Gallo e la sua assidua assistenza.
Il castello venne restaurato nel 1760, ma senza alcuna alterazione sostanziale e la sua situazione è documentata da un disegno che mostra una planimetria del tutto identica all'attuale per quanto riguarda l'edificio con le sue attinenze, tra cui la terrazza alla destra della fronte principale, ed una parte di quello che era il vecchio castello, dove si trova oggi la galleria del Consiglio, legata ai ricordi della vita di Camillo Cavour.

 

A sinistra dell'edificio una galleria al livello del piano nobile collegava al fabbricato del "castello" antico, completamente rimaneggiato nel Settecento: lì si apre la spettacolare Sala diplomatica decorata tra il 1770 e il 1780 con stucchi preziosi da Giovanni Battista San Bartolomeo, attivo alla Palazzina di Caccia di Stupinigi. Anche la disposizione interna risponde ai cambiamenti di destinazione d'uso e di gusto per l'arredo degli ambienti attuata da Giuseppina Benso di Cavour, nipote di Camillo e sposa dal 1851 di Carlo Alfieri di Sostegno, la quale a partire dal 1876 cambia il volto del palazzo.

La Sala diplomatica

Sotto la direzione della Fondazione Camillo Cavour, numerosi sono stati i cantieri che oggi rendono possibile la riapertura del castello: un vivo ringraziamento agli sponsor, la contessa Bianca Pallavicinoi Mossi Costa di polonghera, gli "amici" di Santena, la Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di torino, la Martini e Rossi, la Fondazione Cassa di risparmio di torino e la Compagnia di San Paolo, oltre alla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Piemonte, alla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte, alla Regione Piemonte, all'Assessorato alla Cultura, al Comune di Torino.

La "casa - museo" Castello Cavour in Santena consta di ambienti preziosi il cui equilibrio deve essere tutelato: per motivi di agibilità e di sicurezza le visite avvengono solo per gruppi guidati.

Il percorso di visita, che prende avvio dall'ingresso a destra sul fronte verso il paese, introduce, dopo l'Atrio (1) e il Salottino guardaroba(2), alla Sala da pranzo (3). L'ambiente è caratterizzato dall'arredo delle pareti composto da dodici tele inquadrate da cornici in stucco rappresentanti Animali in posa dipinti nella quasi totalità da Giovanni Crivelli detto il Crivellino nel 1730 ca., salvo una Natura morta con cacciagione attribuita al padre Angelo Maria Crivelli detto il Crivellone, prima metà sec. XVIII. Segue il Salone delle Cacce (4), ornato da luminosi stucchi bianchi rappresentanti trofei di caccia con selvaggina, armi e strumenti musicali, ascrivibili a G.B. San Bartolomeo, 1770 ca.

Il Salone delle Cacce

L'arredo settecentesco del salotto è caratterizzato dalle splendide coperture in tela ricamata bandera e dalla coppa in porcellana della Manifattura di Sèvres in monocromo turchino raffigurante gli Elementi: Terra, Aria, Acqua e Fuoco, datata 1854-1855, dono dell'imperatore Napoleone III a Camillo Cavour nel 1856. La visita prosegue con il Salottino di ingresso per gli ospiti (5) e la Sala da toilette (6) con la vicina Camera da letto della Marchesa de Sales (7) ornata da papier-peints dipinti a ramages con peonie, uccelli e piante lacustri in stile cineseria, databili agli ultimi decenni del Settecento.
Al centro troneggia il letto a baldacchino, raro esempio di seta dipinta sui temi dell'esotismo per il quale spiccano nel cielo i due uccelli del Paradiso disposti a cerchio e circondati da rami fioriti (1770 ca.). Alle pareti, sopra le porte, due bei ritratti di famiglia, Bernardo Ottone di Rehbinder, opera del noto ritrattista di corte Martin Meytens, 1730 ca., e la moglie Cristina Margherita Piossasco di Feys Rehbinder, ritratta da Georg Caspar (De) Prenner nel 1739 in occasione delle sue nozze con il vecchio maresciallo, di cui reca appuntata alla scollatura la miniatura.
A seguire il Salottino dorato Lascaris (8) con arredo caratterizzato da intagli lignei dorati di gusto rocaille: importanti le tre specchiere includenti ritratti ovali, due di bambini databili al secondo quarto del settecento e uno più tardo rappresentante Giuseppe Lascaris di Ventimiglia, Vicereè di Sardegna, della fine del secolo XVIII. I mobili, tra cui spiccano i due sofà angolari delicatamente scolpiti a motivi vegetali, provengono probabilmente dal Palazzo Lascaris di Torino, appartenuto, come la villa di Santena, prima ai Carron di san Cavour.
Il Salottino cinese (9) riassume il tema dell'esotismo, così importante per le residenze nobiliari piemontesi tra Sette e Ottocento, con il rivestimento delle pareti composto da grandi pannelli dipinti su stoffa rappresentanti peonie rosse e rami fioriti blu, verde, giallo. Consolles laccati e vasi cinesi completano l'arredo.
Ancora strettamente legato al tema della rappresentazione dinastica familiare lo Studio Visconti Venosta (10), raccolto ambiente caratterizzato da boiserie ottocentesca, privilegiato per gli studi e la lettura dal marchese Emilio Visconti Venosta, ritratto a figura intera nel bel dipinto dell'ultimo quarto dell'Ottocento posto su cavalletto; membro del senato italiano e sette volte ministro degli Esteri, fu cultore di letteratura come testimonia la ricca biblioteca conservata al secondo piano della villa. Nel registro superiore la boiserie scorre la serie di dipinti, in cornice ovale dorata, rappresentanti personaggi della genealogia familiare appartenenti alla casata dei Carron di San Tommaso, tutti databili tra la fine Seicento e la seconda metà del Settecento.

Lo Studio Visconti Venosca

   

Ritratto di Francesco Guglielmo Carron di San Tommaso

 Ritratto del marchese Emilio Visconti Venosca

E' la riplasmazione di una costruzione medievale detta il Castellazzo, parzialmente demolita nel Settecento per fare posto all'ampliamento della chiesa parrocchiale. I lavori di restauro in chiave gotica furono affidati da Giuseppina Alfieri di Sostegno all'ingegnere Melchiorre Pulciano, intorno al 1878: è un edificio emblematico della cultura sviluppatasi intorno alla costruzione del Borgo Medievale a Torino nel 1884. Interessante, oltre agli arredi in stile, la Sala delle Alleanze al secondo piano, in cui scorrono gli stemmi dipinti della genealogia familiare.

La Torre

Dopo la morte di Camillo Benso di Cavour, avvenuta il 6 giugno 1861, la famiglia fece costruire la cripta mortuaria sotto la cappella di famiglia attigua all'abside della chiesa parrocchiale. Il semplice ingresso alla tomba, dichiarata monumento nazionale, è impreziosito dall'ordine dorico delle colonne in granito, mentre le pareti interne sono rivestite di marmo nero segnato dalle lapidi che conservano le spoglie dei Benso di Cavour, Clermont-Tonnerre, Sellon, Sales.

La tomba

Un tempo gli archivi erano allogati nella torre, in alcuni saloni al primo piano, entro bellissimi armadi lignei: un deposito che doveva essere davvero splendido e suggestivo, oltre che sicuro, anche se disagevole, specie d'inverno.
Nel 1970 c'erano ancora, nella torre, oltre agli armadi, alcune parti degli archivi: un nucleo rilevante delle carte di Camillo Cavour, una parte pure notevole di quelle di Emilio Visconti Venosta; del primo, due preziosi copialettere e i registri contabili; del secondo, oltre a carte amministrative anche documenti politici. Si può datare al 1960 il trasferimento dell'imponente massa di cartelle, cassette e pacchi dalla torre al castello.
La nuova collocazione avvenne a conclusione del vasto ciclo di lavori edilizi realizzati in occasione del centenario dell'Unità. Archivi e biblioteca vennero collocati all'ultimo piano del castello; abbandonati gli armadi lignei, ne furono acquistati di metallici.
Quattro le sale per gli archivi, rispettivamente per il fondo Cavour "antico", per il fondo Cavour "moderno". Quest'ultimo era nella sala più vasta, dotata anche di qualche tavolo e di sedie; in esso l'archivio di Camillo Cavour era sistemato entro tre armadi metallici; in due altri armadi si trovavano le carte dei parenti.
Oggi gli archivi si trovano in un'ala del primo piano dell'edificio che nel 1960 divenne sede del museo di Camillo Cavour, ordinato e catalogato da Maria Avetta.

 

I quadri e i fogli incisi appesi alle pareti di sale, stanze, corridoi di Santena e documentanti le scelte culturali di tre generazioni di Benso di Cavour, da Giuseppe Filippo a Michele Antonio e infine a Camillo e Gustavo (con i loro legami parentali per via femminile, con i De Sales, i De Sellon e attraverso Adéle De Sellon i Clermont-Tonnerre, i Lascaris), ci configurano il tipo di apertura intellettuale e di gusto, al di là degli angusti limiti delle terre tradizionali del Regno Sardo, che riscatta, sia pure in forma di eccezione, quall'arido e soffocante clima nobiliare da cui, sotto Carlo Felice, fuggiva Massimo D'Azeglio per farsi studente d'arte a Roma e pittore e romanziere romantico-storico nella Milano manzoniana. E' questo l'ambiente culturale su cui si è cominciato a far luce negli ultimi decenni. Il casato Benso di Cavour si può così affiancare a casi noti, come quello di Agostino Lascaris, il suocero di Gustavo Cavour, più per cronache d'epoca che per identificazione di opere delle disperse collezioni.

P. BAGETTI, IV V.a. del Piemonte-Saorgio, 1793

Il Valentino, 1793

 Agostino Lascaris aveva esposto nel 1832, alla mostra al Valentino dei Prodotti dell'Industria e degli Oggetti di Belle Arti, sei dipinti contemporanei di sua proprietà fra cui Quattro paesi d'invenzione ad acquerello di Giuseppe Bagetti, scomparso nel 1831. Questo interesse collezionistico di agostino Lascaris può avvalorare forse l'ipotesio che siano di provenienza Lascaris, come è il caso certo di importanti arredi, le 12 incisioni su rame acquerellate a mano (su 14, per cui è presumibile la dispersione delle due mancanti) delle Vedute del Piemonte e del Nizzardo del Bagetti conservate a Santena; ipotesi rafforzata dalla scritta a matita sulla tavoletta di supporto dietro la "XIII V. ta del Piemonte. Pianezza":"Pianezza, feudo dei de Simione appartenente al Marchese Lascaris-Ventimiglia".
Il giovane Bagetti accentua la già notevole e "illuministica" oggettività ottica dell'analoga serie 1780 di Ignazio Sclopis di borgostura; è indicativo in tal senso il fatto che nella veduta di saorgio egli metta a frutto, sia pure vista dal lato opposto della stretta, la veduta "presa sul posto" il 16 aprile 1793 nella veste di disegnatore e topografo a seguito dell'armata reale in guerra contro i francesi rpubblicani. Ma nello stesso tempo la coloritura ad acquarello non fa che accentuare l'effetto di infinita luminosità spaziale già realizzato dal tratto grafico, riversando la scienza topografica nella poetica del sublime.
Non è un caso che già nel 1795 il de Gubernatis copii ad acquarello due delle vedute, con ciò stabilendo fra l'altro la corretta datazione della serie fra 1793 e 1795: essa rappresenta in effetti il primordio di una cultura e di un gusto che, dopo la grande parentesi del pittore di cronaca e storia militare-topografica napoleonica e sabauda, sfoceranno nei paesaggi d'invenzione romantica della Restaurazione in cui al bagetti si affianca de Gubernatis, così come anche nel tardo trattato dell'Analisi sull'unità di effetto nella Pittura e della imitazione nelle Belle Arti.

C. HACKERT, Vue de la Valée de Chamouni pris prés d'Argentiere, 1780

C. HACKERT, Vue de la source de l'Arveron, 1780 ca.

   

T. FALKEISEN, La morte del generale Wolfe (da West), 1770 ca.

W. WARD, Enrico IV di Francia riconcilia la Duchessa di Beaufort con Sully, 1791

L'approdo a Ginevra del tedesco Carl Heckert, incisore e pittore, introduce la pratica dei colorieur (gli incisori-coloritori delle stampe nuovissime del "sublime" e dell'"orrido" alpino svizzero), instaurata a Berna da Aberli e soprattutto dal notevolissimo Caspar Wolf. A Santena è conservata, con altre quattro, la Vue de la Valée de Chamouni pris prés d'Argentiere, datata 1780 e ricordata dal Sandoz come prima stampa ginevrina del genere.
Il nome di West, il pittore "coloniale" che succedette a Reynolds nella presidenza della Royal Academy, di cui era stato uno dei fondatori, ricompare nel caso di un'altra stampa, di produzione e vendita non inglese ma tedesca e svizzera, che assume comunque notevole interesse alla luce degli studi contemporanei di storia sociale dell'arte. Si tratta della stampa, incisa durante un soggiorno a Londra dallo svizzero Théodor Falckeisen, riproducente di West La morte del generale Wolfe sotto Quebec, esposta nel 1771 alla Royal Academy e allora nella collezione di Lord Grosvenor (oggi alla National Gallery di Ottawa).


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